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Riduci l’impatto ambientale con frutta e verdura di stagione

In queste settimane, nel pieno della stagione invernale, non ho potuto fare a meno di notare come molti dei prodotti freschi della linea Naturaplan e Bio (Coop elvetica) siano completamente fuori stagione: pomodori, melanzane, zucchine e cetrioli. Sono certa che il consumatore medio, leggendo bio, non si ponga troppi quesiti sulla loro stagionalità e, anzi, sia ben felice di poter acquistare gli adorati pomi d’oro o zucchine facendo del bene alla terra. In fondo, provengono da agricoltura biologica, no?

In realtà, anche la stagionalità ricopre un ruolo fondamentale per ridurre il nostro impatto ambientale, per alimentare il nostro corpo con maggiori nutrienti e infine, ma non meno importante, per mangiare con più gusto.
Spesso però la stagionalità è vista come qualcosa di poco chiaro e davvero poco tangibile, tant’è che a differenza del metodo di produzione biologico, essa non ha né certificazione né logo. Facciamo allora un pò di chiarezza e vediamo come poter orientarci nel reparto frutta e verdura.

“Di stagione”, che?

Innanzitutto, siccome il termine “di stagione” o “stagionale” non ha una definizione precisa o accettata in egual modo da tutti, ma varia in base al contesto in cui viene utilizzato, come suggerito da un articolo recente pubblicato dall’Eufic (Consiglio europeo di informazione sull’alimentazione), con “stagionale” indicheremo il momento di produzione e consumo dei cibi.

Differenziamo quindi tra stagionalità globale e locale.
Ci riferiamo al primo caso quando un cibo è stato sì prodotto durante la sua naturale stagione, ma non per forza consumato localmente, come spesso accade con frutta o verdura proveniente dall’altro emisfero rispetto al nostro. Con stagionalità locale invece ci riferiamo al luogo sia di produzione che di consumo, come nel caso di pomodori e zucchine cresciuti e raccolti in estate nei paesi del bacino del Mediterraneo.

Fatta questa doverosa premessa, come scegliamo i prodotti più sostenibili? Saranno quelli locali? Quelli biologici? E cosa dovremmo pensare di un prodotto di serra? I kiwi che vengono dall’Australia sono davvero il male sceso in terra?

Il peso del cibo in CO2

Troppo spesso, forse, si decanta il km0 a priori come la scelta più sostenibile, come se i trasporti su lunghe distanze fossero il male più grande del nostro sistema alimentare. In realtà, questa fase della catena rappresenta solo il 6% delle emissioni totali di CO2 causate dall’industria alimentare, contro il 31% causato dall’allevamento e dalla pesca, il 27% dalla produzione agricola e il 24% dall’utilizzo del suolo.
Insomma, se 1/3 delle emissioni globali di CO2 è causato dalla produzione mondiale di cibo (i dati possono variare se vengono prese in considerazione o meno alcuni parametri, come le emissioni causate dallo spreco di cibo, dalla deforestazione o dalla coltivazioni di prodotti agricoli non alimentari come cotone, lana o pellame), la catena di approvvigionamento, ovvero la trasformazione degli alimenti, il suo trasporto, il suo confezionamento e la sua vendita, ne rappresenta “solo” il 18%. (1)

Per valutare l’impatto ambientale di un prodotto alimentare si utilizza la valutazione del ciclo vitale (LCA), misurato nell’arco della sua vita totale (dalla produzione al consumo). (2)
Basandoci su questo metodo, quindi, quali sono le scelte meno impattanti che possiamo fare?

Simply the best

La miglior scelta che possiamo fare quando acquistiamo frutta e verdura è quella di scegliere prodotti locali, coltivati con metodi agricoli il più possibile rispettosi del suolo (biologico, biodinamico, rigenerativo, ecc.) e soprattutto in stagione.§
Certamente, il trasporto di prodotti che deperiscono velocemente, come frutta tropicale o frutti di bosco per cui é spesso via area, produce alte emissioni di CO2, motivo per cui acquistare da produttori della nostra zona o nazionali può ridurre drasticamente il nostro impatto ambientale (oltre a supportare l’economia del nostro paese). Tuttavia, scegliere di mangiare locale contribuisce solo in piccola parte alla riduzione del nostro foot print, specialmente in confronto alle emissioni derivanti dai metodi di produzione.
Ed ecco che qua entra in gioco la stagionalità.

Se da una parte le coltivazione in serra comportano un minor utilizzo di terreno, meno spreco di cibo e meno pesticidi (tant’è che possiamo trovare prodotti certificati BIO fuori stagione, ma coltivati in serra), esse richiedono dall’altra una tale quantità di energia e di apporto idrico che la stagionalità globale può essere una scelta più sostenibile (in termini di emissioni di CO2) rispetto a prodotti raccolti in aree geografiche più vicine a noi, ma coltivati in serra.

Prendiamo in esempio i pomodori: la scelta meno impattante sarà quella per un frutto locale e di stagione, seguita poi dai prodotti importati ma sempre coltivati seguendo la stagione del luogo d’origine; sappiate, invece, che acquistando i pomodori d’inverno coltivati nelle serre spagnole, italiane o del nord Africa, emettiamo più gas serra del trasporto degli stessi dalla Spagna alla Gran Bretagna, ma coltivati in stagione. (3)
Questo ragionamento non cambia se parliamo di prodotti invernali, ormai perennemente presenti nei supermercati e negozi di frutta e verdura, come le mele e le pere. Infatti, dopo il raccolto stagionale, questa frutta viene spesso conservata in enormi celle frigorifere, con un altissimo dispendio di energie e conseguenti emissioni di CO2 (fanno eccezione le celle ipogee, come quelle di Melinda, realizzate scavando nelle montagne. Un sistema che riduce drasticamente il consumo energetico). (4)
In parole povere, volete cucinare una torta di mele in primavera o estate? Quelle raccolte in Nuova Zelanda, spedite in Europa e consumate localmente hanno un impatto minore di quelle europee conservate da ottobre fino all’anno successivo.

Quindi, l’acquisto di frutta e verdura a minor impatto è quello di prodotti coltivati e consumati nella stagione di riferimento, cosicché non ci sia un uso eccessivo di energia per riscaldare e illuminare le serre o per raffreddare le celle di conservazione dei prodotti.

Se però non riuscite a rinunciare ad alcuni prodotti fuori stagione, vuoi per motivi di gusto o di poca reperibilità di prodotti stagionali, meglio indirizzarvi verso frutta e verdura stagionali dell’emisfero opposto al vostro, coltivati senza l’ausilio di serre e preferibilmente biologiche, perché ricordiamo che, il nostro impatto ambientale non viene calcolato solo attraverso le emissioni di CO2, ma anche attraverso altre misurazioni, come l’impronta idrica e l’inquinamento del suolo causato dai prodotti fitosanitari.

Mangiare stagionale fa bene al nostro corpo e al portafoglio

Scegliere di consumare frutta e verdura stagionale è consigliabile anche dal punto di vista nutrizionale. Infatti, più tempo passa dal momento del raccolto e più il loro valore nutrizionale va via via diminuendo. Di solito, gli antiossidanti come il folato, la vitamina C e i caroteni diminuiscono rapidamente quando frutta e verdura vengono conservati per un lungo periodo di tempo.

Quando acquistiamo prodotti stagionali locali, avremo costi di produzione minori rispetto a quelli provenienti dall’estero o dalle coltivazioni in serra, non dovendo calcolare il trasporto, la conservazione o il riscaldamento delle serre. Escludendo annate in cui intensi fenomeni climatici possono compromettere un raccolto stagionale, i prezzi di frutta e verdura coltivata e consumata localmente si riducono drasticamente rispetto alle altre opzioni.
Se invece c’è richiesta di prodotti fuori stagione, allora i prezzi salgono molto di più e i costi di produzione si riversano anche sul consumatore.
Vogliamo risparmiare? Prediligiamo frutta e verdura di stagione.

In conclusione

Le scelte alimentari ponderate e ragionate hanno il potenziale di ridurre le emissioni di carbonio della catena di approvvigionamento alimentare di almeno il 50%(3). La crescita della popolazione mondiale combinata allo sviluppo della ricchezza porteranno a un aumento della domanda di cibo, in particolare crescerà la domanda di carne e di latticini, rispettivamente del 75% e del 65%. Scegliere quali abitudini alimentari vogliamo prediligere è quindi essenziale per raggiungere l’obiettivo di mantenere il riscaldamento globale sotto i 2 gradi. Allo stesso tempo, è utopico e forse sbagliato pensare che il mondo intero diventi completamente vegetariano, anche considerate zone montane più adatte all’allevamento che all’agricoltura vegetale. Tuttavia, come sempre più persone comprendono l’impatto ambientale del consumo sconsiderato di proteine animali, così ognuno di noi può dare il suo contributo scegliendo se acquistare frutta e verdura di stagione, da produzioni locali in serra, proveniente dall’altro emisfero, coltivata nel rispetto del suolo e così via.

Spesso non è semplice fare la scelta giusta e le informazioni sulle etichette non sono sempre sufficienti per capire la tipologia di produzione del prodotto e, allo stesso tempo, la sua provenienza.
Possiamo rendere più semplice l’acquisto di frutta e verdura seguendo alcuni consigli base:
– controlliamo quali sono i prodotti in stagione prima di fare la lista della spesa (L’alveare che dice Sì pubblica ogni meseun contenuto dedicato sul suo profilo Instagram);
– limitiamo i cibi pronti su cui non possiamo avere controllo degli ingredienti utilizzati e della loro provenienza;
– cerchiamo di evitare i prodotti freschi e altamente deperibili provenienti da molto lontano;
– limitiamo il consumo di frutta e verdura fuori stagione coltivata in serra;
– rivolgiamoci a rivenditori fidati (offline e online) che forniscono informazioni sulla tipologia di serra (se riscaldata o no);
– quando e se non vogliamo rinunciare a certi ingredienti, guardiamo alle verdure conservate al naturale (esistono anche i pomodorini interi in vetro) o persino a quelle surgelate, soprattutto se l’azienda produttrice ci fornisce informazioni sui metodi di produzione: o surgelati sono in realtà anche un ottimo compromesso per ridurre gli sprechi alimentari;
– ricordiamoci che quando si tratta di diminuire il nostro impatto ambientale attraverso la nostra alimentazione, conta di più ciò che mettiamo nel piatto rispetto alla sua provenienza;

Quante volte abbiamo sentito dirci che attraverso la nostra forchetta possiamo votare per il futuro che desideriamo ben tre volte al giorno, tutti i giorni?
Ma quanto sono efficaci le nostre scelte alimentari? Quanto dobbiamo “sacrificare” per vedere dei risultati?
Beh, mangiare clima-solidale 3 volte alla settimana può cambiare il mondo (5).

Un pasto rispettoso dell’ambiente evita emissioni equivalenti a un viaggio in auto di 6,5 km. Se tutti in Europa e negli Stati Uniti mangiassero in modo ecologico 3 volte alla settimana, il nostro impatto sarebbe simile a quello di togliere 57 milioni di auto dalla strada o piantare 4374 milioni di alberi che coprono la dimensione di 5,89 milioni di campi da calcio.
Non c’è nessuna soluzione tecnica che possa avere un impatto maggiore e che sia altrettanto efficiente.

Il bello di mangiare più sostenibile è che (quasi) chiunque può farlo.
E possiamo iniziare proprio qui e ora.

Fonti:
(1) Our World in Data
(2) EUFIC; Eaternity
(3) EUFIC
(4) Melinda
(5) Eaternity

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