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Terra Madre – Il ritorno alle radici

“E’ il suolo vivo che ci dà nutrimento.” (cit.)*

Tutto parte dal suolo.
La chiave per nutrire il pianeta è mantenere il nostro suolo fertile, proteggere la sua biodiversità, prima ancora di quella che trova nutrimento in un ecosistema ricco di miliardi di organismi. Da un ecosistema in salute ne derivano altri altrettanto sani e il primo di cui dovremmo occuparci è quello che sta sotto ai nostri piedi.

Oggi, 5 dicembre, è il #WorldSoilDay, la giornata internazionale voluta per celebrare la salute del suolo, elemento essenziale per un futuro senza incertezze alimentari.
Lo slogan della campagna 2020 “Keep soil alive, Protect soil biodiversity” (manteniamo in vita il suolo, proteggiamo la sua biodiversità) vuole puntare i riflettori sul quell’immensa popolazione di batteri e piccoli essere viventi che abitano sotto i nostri piedi: ogni singolo componente è indispensabile alla vita sulla Terra.

Come forse molti di noi già sanno, la perdita di biodiversità è un fenomeno che coinvolge diversi ambiti ed è menzionata tra le cause del cambiamento climatico, dell’inquinamento ambientale e atmosferico. Il terreno sui cui viviamo ne è affetto, tanto quanto gli ecosistemi che vediamo intorno a noi. Il suolo è per natura così ricco di biodiversità che in unico cucchiano di terra vivono più organismi che sul nostro stesso pianeta. Questo ultrapopolato ecosistema è responsabile di molti processi fondamentali alla vita sulla Terra: più il suolo è in salute, quindi popolato, più sarà in grado di supportare la cresciata di piante, di immagazzinare carbonio e trattenere acqua.
Stiamo vivendo una crisi del suolo, una crisi che ha gravi conseguenze sulla vita sopra di esso.

La nascita dell’agricoltura

Il mio intento non è quello di tenere una lezione di storia dell’agricoltura.
Tuttavia è importante ricordare come, nel mondo occidentale, la nascita dell’agricoltura segnò la fine del nomadismo e la creazione dei primi villaggi sedentari, delle prime civiltà.
L’intera storia dell’agricoltura è segnata da invenzioni che permisero di aumentare la produzione, vuoi perchè l’aratro con la punta in metallo poteva coltivare terreni più duri e compatti o perchè con il mulino ad acqua si era in grado di lavorare grosse quantità di cereali; l’irragazione del suolo e infine la famosa rotazione delle colture consentì di migliorare la qualità dei frutti della terra. Anche la storia dell’agricoltura, come quella dell’essere umano stesso, è segnata da momenti buii e veri propri risorgimenti, costellati da innovazioni e benessere. Fu nel XVIII secolo che si introdussero le prime macchine agricole che permise di aumentare ulteriormente la produzione e diminuì sempre di più il bisogno di lavoratori agricoli. I primi fertilizzanti chimici e i primi diserbanti nacquero nell’Ottocento, grazie allo sviluppo delle scienze agrarie; vennero infine introdotte macchine come il trattore, elementi che meccanizzarono ulteriormente il processo agricolo.

La Green Revolution

Il secondo dopoguerra fu segnato da un generale benessere: la tecnologia era partita in quarta e regalava nuovi elettrodomestici, automobili e infrastrutture a più non posso.
Nello stesso periodo, a cavallo tra il 1950 e il 1960, anche l’agricoltura fu toccata da una simile rivoluzione che fece balzare alle stelle la produzione.
L’agricoltura tradizionale, quell’insieme di conoscenze che insieme formano il paradigma teorico dell’agro-ecologia, si era evoluta nei secoli, dando vita a nuovi ecosistemi in simbiosi con la natura. Con la Green Revolution il nuovo paradigma, diversamente dalle pratiche tradizionli, recitava l’utilizzo di fertilizzanti chimici e di semi nati in laboratorio, il controllo delle irrigazioni e l’aumento della meccanizzazione.

Attenzione, non siamo qua per puntare il dito contro la Green Revolution o alla tecnologia alla base dei semi geniticamente modificati. Siamo qua per capire quali sono i diversi approcci alla coltivazione del nostro suolo e quali sono i loro effetti nel breve e lungo periodo.

La Green Revolution è il Big Bang per l’agricoltura moderna e oggi si paragona il prima e il dopo, nell’analizzare quanto e se la terza rivoluzione agricola abbia migliorato il settore agricolo, il terreno, la produzione, i costi, i ricavi, la vita di chi lavora la terra, i consumatori finali e gli ecosistemi** del nostro pianeta.

Cercherò al meglio delle mie capacità di elencarvi le pratiche agricole ad oggi seguite.
Non sarò io a dirvi quale sia la migliore ai fini di salvaguardare la salute del nostro suolo e, di conseguenza, del nostro pianeta. Starà a voi giudicare ed eventualmente approfondire l’argomento (vi lascio delle fonti a cui attingere alla fine dell’articolo).
Tuttavia desidero anche esporvi i dati che ho raccolto negli anni, leggendo libri o guardando docuementari, e che mi portano a credere che l’agricoltura convenzionale non possa essere la risposta a sfamare il mondo senza distruggere il nostro suolo e, di conseguenza, il nostro ecosistma Terra.

Iniziamo.

L’agricoltura convenzionale

Con agricoltura convenzionale ci riferiamo a coltivazioni caratterizzate da vaste monoculture (campi coltivati con uniche varietà di prodotto, l’opposto di biodiversità), tecnologie nate dalla green revolution (ergo, anche semi OGM) e fertilizzanti sintetici.
In laboratorio è possibile manipolare e produrre sementi che resistono alla siccità, alle malattie e agli attacchi di insetti. Tra gli OGM più comuni ricordiamo il grano, il mais, la barbabietola da zucchero, il cotone, la soia, la colza e le zucchine. Questa tipologia di agricoltura viene spesso definita anche intensiva perchè utilizza grosse quantità di risorse, da quelle idriche a quelle del suolo, passando per i costi necessari a sostenere questa tipologia di agricoltura da parte di chi lavora la terra.
L’agricoltura convenzionale moderna riduce notevolmente i costi della produzione di cibo; le materie prime utilizzate dall’industria alimentare, grazie a questo tipo di agricoltura, hanno un costo molto basso e quindi è la tipologia di lavorazine della terra prefrita dalla grande industria.

L’agricoltura biologica

L’agricoltura biologica è un sistema di coltivazione che si concentra sul supportare un sistema produttivo in salute. Certamente è famosa per ciò che NON utilizza, in confronto a quella convenzionale: no OGM e nessun erbicida sintetico, ma pesticidi di orgine naturale (olio di neem, rame, fosfato di diammonio, zolfo, ecc.). L’agricoltura biologica è fatta anche da buone pratiche agricole, quelle imparate lungo i secoli di adattamento con la natura, come la rotazione delle colture, il sovescio (interramento di apposite colture allo scopo di mantenere o aumentare la fertilità del terreno) e controllo degli insetti infestanti con metodi naturali. L’agricoltura biologica è oggigiorno definita anche da regolamenti legislativi, i quali possono variare di paese in paese.

L’agricoltura biodinamica

La biodinamica è un metodo agricolo sviluppato da Rudolf Steiner, spesso descritto più in termini spirituali, etici ed ecologici, invece che scientifici, motivo per cui non viene considerato dalla comunità scientifica come un metodo accettabile. Esso racchiude pratiche olistiche, ogni componente del sistema ha un ruolo essenziale e tutto è interconnesso. Infatti i vari elementi che compongono la pratica, dagli animali al suolo, passando per le varie coltivazioni, vengono trattati come un unico ecosistema; molti momenti della pratica sono inoltre determinati dalle fasi della luna e dei pianeti.

L’agroecolgia o permacultura

Le definizioni di agroecologia e permacultura si assomigliano molto.
Possiamo riassumere la permacultura (ndr. permanent agriculture) in tre concetti chiave: cura e attenzione per la terra e per i suoi sistemi; cura per le persone; restituire o reinvestire qualsiasi surplus nel sistema da cui attingiamo risorse.
L’agroecologia, dal canto suo, viene definito come lo studio degli ecosistemi agricoli, inclusi i suoi elementi ambientali e umani, in un sistema definito da dinamiche e funzioni che hanno origine dalle interconnessioni di tutti gli elementi.

Entrambi queste pratiche hanno l’obiettivo di coltivare il suolo nel rispetto dell’ecosistema in cui ci si trova, dalla sua componente vegetale fino a quella animale e umana. Si cerca di guardare alla natura e ai suoi schemi per poter prendere spunto e ricrearli anche nel campo. Ciò che funziona spontaneamente in natura, in rispetto dei vari elementi, funziona anche nella produzione dei prodotti della terra.

Considerazioni in libertà

Possiamo forse dire che la biodinamica, l’agroecologia e la permacultura hanno un’origine comune, ovvero l’agricoltura biologica, da cui si sono sviluppate aggiungendo ulteriori livelli di studio e pratica.

M’immagino i 5 diversi approcci all’agricoltura come delle linee.
Quella convenzionale, non c’è molto da dire, la vedo come una linea retta e grigia, poche sfumature, un’unica direzione.
Abbiamo poi l’agricoltura biologica: per me una linea retta anch’essa, ma verde, per il semplice fatto che si pone l’obiettivo di proteggere la biodiversità, inclusa quella del terreno su cui fiorisce.
Arrivano poi la biodinamica, l’agroecologia e la permacultura.

Forse sono solo una sognatrice che spera che possano essere le belle pratiche a salvarci tutti, in armonia con la natura e non contro di essa. Eppure, ci sono studi scientifici, prove tangibili, ricerche durate più di 40 anni che mettono a confronto le varie pratiche e… beh, l’agricoltura convenzionale, con i suoi pesticidi e l’uso di semi modificati in laboratorio, non sembra essere la scelta migliore. Le pratiche vincenti riconducono tutte verso un unico obiettivo: mantenere la nostra terra fertile e in salute, in modo naturale.

Prima di passare ad una serie di aneddoti interessanti per supportare quanto detto, vorrei sottolineare che:

  • l’uomo ha sempre plasmato la natura secondo i suoi bisogni. Prima della scienza genetica, si selezionavano i semi e si creavano nuovi ibridi “manualmente”. Molte coltivazioni oggi considerate “tipiche” di un’area geografica, in orgine non erano autoctone di quella zona: il pomodoro, la patata, la melanzana, il mais sono tutti esempi di quanto appena scritto.
  • la genetica da laboratorio non è da mandare al patibolo per partito preso. Un seme che può produrre di più e resistere agli attacchi degli agenti patogeni è una conquista, non una minaccia; (iniziamo con gli aneddoti interessanti)…
  1. diventa però un pericolo, quando lo stesso seme richiede maggiori risorse idriche, energetiche e monetarie, quando crea quel circolo vizioso per cui il suolo in cui cresce si inaridisce e con il tempo la pianta stessa diventa vulnerabile agli animali infestanti, perchè, beh, la natura si adatta alle nuove cicostanze. E allora? Nuovi pesticidi, nuovi semi e nel frattempo perdiamo biodiversità sia nel terreno che nel grande mondo delle sementi
  2. il 70% dell’acqua del pianeta viene sfruttato e inquinato con pratiche di irrigazione intensiva da essa richieste (FAO, 2014)
  3. sono i piccoli produttori che, utilizzando solo il 30% delle risorse mondiali, forniscono il 70% del cibo che mangiamo*.
  4. uno dei motivi per cui si utilizzano gli OGM è la riduzione della quantità di prodotti chimici impiegati in agricoltura. Purtroppo si è verificato il contrario. “La diffusione di infestanti resistenti al glifosato ha portato una significativa crescita nel numero e nel volume degli erbicidi utilizzati. Le proporzioni dell’aumento nell’uso di erbicidi su terreni resistenti agli erbicidi sovrastano di gran lunga la riduzione nell’uso di insetticidi nelle coltivazioni Bt (ndr. mais Ogm) nel corso degli ultimi 16 anni, e questa tendenza rimarrà invariata per il futuro prevedibile”. (Impacts of genetically engineered crops on pesticide use in the Us – the first sixteen years. Charles Benbrook)
  5. la biodiversità crea le condizioni per lo sviluppo di sistemi di controllo integrato dei parassiti, con piante che li attirano e altre che li respingono. Qusta tecninca viene utilizzata da migliaia di coltivatori in Africa Orientale, che inframmezzano un legume utilizzato come foraggio al granturco, all’erba elefante e all’erba sudanese. Gli aromi diffusi da questo legume respingono parassiti come il “tarlo dello stelo” del mais, mentre i profumi lasciati dalle erbe li attirano, incoraggiando i tarli a depositare le uova su di esse, invece che sulle piante di mais. Da parte sua, poi, l’erba elefante produce una sostanza gommosa che intrappola le larve dei tarli e le uccide quasi tutte prima dello sviluppo (Link)
  6. un pensiero comune dell’agricoltura intensiva è che tramite l’utilizzo di ogm, fertilizzanti chimici e monocolture, si possa risolvere la grande piaga della fame nel mondo, sostenendo che in questo modo la biodiversità ne sarà avvantaggiata perchè l’agricoltura convenzionale richiede meno terra rispetto a una biologica. Ebbene, se si tengono in considerazione tutti gli effetti, le monoculture producono meno cibo per ettaro rispetto a campi coltivati con pratice ecologiche in rispetto della biodiversità. L’utilizzo di pesticidi chimici e varietà OGM con pesticidi già incorporati uccidono le specie benefiche e minano la produzione alimentare, oltre ad avere effetti tossici sul suolo e sui sitemi idrici (ma spesso queste esternalità negative non vengono conteggiate quando ci si chiede quale sia il modello piu’ conveniente nel lungo termine). Uno studio che mette a confronto le policulture tradizionali con le monoculture dimostra che le prime possono produrre di più sia in termine di raccolto che di biomassa (l’insieme di organisimi animali o vegetali presenti in una certa quantità in un dato ambiente): un sistema policulturale è capace di produrre 100 unità di cibo con 5 unità di input (risorse necessarie per produrre le 100 unità di cibo), mentre un sistema monocolturale richiede 300 unità di input per produrre le stesse unità di cibo.
  7. e per quanto riguarda i guadagni economici? L’agribusiness che sostiene l’agricoltura intensiva afferma che le monoculture siano il modo più efficiente per produrre cibo in termini di costi e benefici. Secondo uno studio empirico del 1978 creato dal professor William Lockeretz, in cui metteva a confrono 14 aziende agricole biologiche e 14 aziende devote alla pratica delle monoculture, il valore di mercato del raccolto per unità di superifice era inferiore dell’11% nelle fattorie biologiche, ma a causa dei costi di produzione inferiori (nessun input esterno come prodotti chimici o fertilizzanti) il ricavo netto per unità di superficie era pressochè identico.*
  8. alcuni dati significativi tratti dai decennali studi della Rodale Institute indicano come sistemi di coltivazione biologica siano competitivi dopo un periodo di transizione di 5 anni, come siano in grado di garantire un 40% in più di raccolto in tempi di siccità e come si traducano in un guadgano maggiore per i contadini (dalle 3 alle 6 volte in più rispetto ai guadagni con un sistema convenzionale);
  9. i sistemi alternativi a quello convenzionali non provocano danni alle falde acquifere, utilizzano il 45% di energia in meno e rilasciano il 40% di co2 in meno.

Come è possibile tutto questo? Grazie alla salute e alla fertilità del suolo!

  1. un suolo in salute trattiene più acqua, una garanzia per le coltivazioni e la vegetazione dell’area nei periodi di siccità
  2. un suolo in salute è più compatto, l’ideale per prevenire la sua erosione
  3. un suolo in salute permette alle piante di cresciere al massimo delle loro possibilità e produttività senza malattie e senza il bisogno di introdurre elementi esterni
  4. Un suolo fertile e in salute è alla base del nostro sistema alimentare, tuttavia a causa delle pratiche principalmente utilizzate oggigiorno, quelle convenzionali, questo stesso sistema è a rischio. Secondo l’ONU, se non cambiamo rotta, ci rimangono ancora 60 anni di suolo coltivabile.

Potrei continuare ad elencarvi studi, dati, aneddoti, esempi di pratiche agricole nocive alla nostra salute (nostra intesa come ecosistema Terra) e molte altre degne di nota per meriti esattamente opposti.
Dal mio punto di vista, credo che chi insiste a voler supportare un sistema agricolo convenzionale lo faccia guardando al breve termine, invece che nel medio-lungo periodo, e mi stupisco nel notare che persino in molte università si sventoli ancora la bandiera a favore di monoculture, pesticidi e OGM, come se le alternative non potessero competere nella corsa a salvare il pianeta e sfamare l’umanità.

Uno dei principi della permacultura che più amo recita quanto segue:

The Problem IS the Solution (il problema é la soluzione)

Nel nostro caso?
Non difendiamo abbastanza la salute, l’integrità e la fertilità del nostro suolo.
La soluzione sta nel problema.

Growing Young Green Seedling Sprout in Cultivated Agricultural Farm Field close up

Fonti da cui attingere per approfondire molti dei concetti brevemente accennati:

Libri e siti internet:

Documentari:

Video e canali YouTube:

Note
*Chi nutrirà il mondo? Manifesto per il cibo del terzo millennio. Vandana Shiva, 201
** Un ecosistema è un insieme sistemico costituito da due componenti in stretta relazione: la prima rappresentata dagli organismi viventi e l’altra dall’abiente fisico in cui essi vivono. (Wikipedia)

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